La mia casa a Monaco (2piano, le 2 finestre sulla sx) |
Sto 2013 è l'anno degli anniversari significativi: sei anni di maturità, due anni di laurea, un anno da reintegrato. Anniversari a mazzi come gli asparagi, a cespi come la lattuga.
E dopo un anno si sa, è tempo di bilanci. In un anno di tempo uno ha avuto ben 365 giorni per pensarci, ripensarci, soppesare col bilancino cosa è stato e cosa no, quel che avrebbe potuto essere, quel che uno avrebbe dovuto imparare (non imparare dai fatti accaduti è un delitto capitale) e cosa effettivamente ha ricavato dall'esperienza. Riflettere infine con animo lucido e archiviare con serenità quel che è stato. Io non so se l'ho fatto, ma di sicuro ho riflettuto, ponderato, analizzato e sceso a patti con il "fallimento".
Non starò qua a fare bei discorsi. Vi dirò invece quel che ho capito (o credo di aver capito) da tutto sto marasma che è stato il mio ritorno a casa. Gli effetti benefici.
1) Tornare in Italia dopo un espatrio mi ha regalato una sorta di orgoglio patriottico. Se prima ero partito con appiccicata alle caviglie la vergogna della mia nazionalità, ora la rivendico con fermezza. Io sono italiano. Si, abbiamo tanti difetti, forse troppi, ma sono in larga parte smorzati da altrettanti pregi. Si sa: nella vita tutto si equilibra. E non c'è niente di cui vergognarsi. Anzi. Tutto quello che di migliore c'è nel mondo in fatto di moda, cibo, arte e monumenti ha nome italiano. Ed è ora che ne prendiamo coscienza, invece di avere la mania dell'esterofilia.
2) Per quanto possa essere piccola, provinciale, un po' snob e bacchettona, rigida e pettegola, Verona è la mia città e io sono veronese. In ogni fibra del mio esile corpicino. Nella mentalità, nel modo di affrontare il mondo, di pesarlo, di giudicarlo e criticarlo. Posso trotterellare per il globo in lungo e in largo, andare a vivere in Guatemala o in uno sperduto villaggio andino, ma gli occhi con cui vedrò attorno a me avranno sempre il metro di paragone veronese.
3) L'espatrio ha portato molta più essenzialità nella mia vita, ha sfrondato i rami secchi. E all'inizio è stato spiacevole prenderne atto. Nessuno vuole tornare e sentirsi solo come un cane. Ma poi ho capito che è stata una benedizione. Niente più ipocrisie, sforzi inutili per gente inutile, compagnie stantie come un pandoro scaduto, noiosissime serate passate a parlare di niente. Qualità al posto della quantità. Era ora.
4) L'espatrio mi ha cambiato. E dirlo è riduttivo. Mi ha cambiato talmente tanto e in talmente tanti lati e ambiti di me che ancora non so fino a che punto, profondità e campo ha operato il suo miracolo. Stranamente tutti cambiamenti in meglio. Sono il primo ad esserne stupito. Difatti ogni volta che avverto un cambiamento in me o un atteggiamento diverso mi pare impossibile che sia cambiato senza esserne minimamente accorto. Per avere conferma non sapete quante volte ho chiesto alla Torquimamma "ma ero così??" e lei "bha, non lo so". Namo bene...
5) Un anno a casa ha cambiato la mia percezione del "fallimento". Ora so che non lo è stato. È stata un'evoluzione. Un indispensabile ritorno alle radici. Probabilmente se fossi rimasto avrei finito per perdermi: avrei nascosto le mie origini, le avrei barattate con delle altre e così non sarei stato né carne né pesce. In questo modo invece sono stato graziato: nel caso di un nuovo espatrio ho un'identità precisa ed elastica. Che si adatta, ma non si vergogna. Che si piega al vento, ma non dimentica da dove viene.
Alla fin fine, in un modo del tutto contorto e imprevedibile, è andato tutto per il meglio.
Cioè ho anche fatto pace con i Deutsch: l'altro giorno ho dato delle indicazioni a due turiste sperdute per il centro. Fate un po' voi!
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