martedì 19 giugno 2012

Voglio una vita...disoccupata..!

Quello che state per leggere è un post lagnoso. Se decidete di leggerlo lo fate a vostro rischio e pericolo. Se ne sconsiglia la lettura a chi ha avuto una bella giornata. Se ne consiglia invece la lettura a chi ha avuto una pessima giornata. Può darsi che la sfiga altrui riesca a farvi sentire meglio.

Non meniam il can per l’aia: essere disoccupati è per l’homo occidentalis la tragedia personale seconda solo alla morte. Perché in sé la disoccupazione è la morte sociale, l’esclusione dal mondo del lavoro. Perché si vive per il lavoro. Si sposa il lavoro. Sul posto di lavoro circolano gossip, si fanno gossip, si raccoglie materiale per lo spettegolesso serale. No lavoro no vita. Lavoro uguale significato e significante delle nostre esistenze. Se non hai un lavoro o ti commiserano o ti evitano. In ogni caso niente di positivo. Se hai un lavoro sicuro, ben pagato e prestigioso, diventi un figo anche se hai lo spessore morale di una lente a contatto. Se invece hai un lavoro “normale”, busta paga da mendicante, ma una sana integrità sei, senza rimedio e per direttissima, uno sfigato. Il lavoro è il metro con cui valutiamo ogni cosa e/o persona. Oltre ai vestiti che si indossano o la macchina che si guida, ovviamente. I colleghi sono i tuoi migliori amici con cui prendere un aperitivo alle 11 della mattina oppure i servitori del Demonio in borghese da esorcizzare a suon di sgarbi e frecciatine. Se il colloquio va bene ci sentiamo belli, spiritosi e capaci. Se il colloquio va male siamo pronti a indossare il cilicio per espiare la colpa di essere quello che siamo. Distillato d’avvilimento purissimo da buttar giù tutto d’un fiato. Insomma se non troviamo lavoro la colpa sarà pur nostra, no?! Ed ecco che la danza macabra inizia: siamo noi ad adattarci al posto di lavoro e non il contrario. Tutto pur di aver l’altissimo onore di essere il galoppino dell’Ing. Cavazzi.

Cercare lavoro è un’arte, da sempre. Ormai è cosa nota e risaputa. E quando non lo si trova, iniziano le paturnie. Il cosiddetto calo fisiologico. Io ce l’ho avuto lunedì. Di già??? Di già si! Un buco nero di tristezze in cui sono affondato fino all’ultimo capello. E bhe ho pensato le solite cose: che ho fatto le capriole per tre anni da un esame all’altro per un’emerita cippa, non essendo diventato né un ingegnere, né un commercialista, né un avvocato, né un architetto. Che ho scelto il paese sbagliato in cui trasferirmi: qui si cercano “tecnici”, non umanisti. Che non pesa tanto la lontananza da casa, quanto la mancanza di riscontro diretto con la TorquiMamma e la Super Genia. Che per la mia cronica mancanza di esperienza tutto è troppo grande. Se poi combino casini chi li mette a posto?! Seduto come una statua di sale di fronte all’Hubertusbrunnen ho percorso 10.000 miglia di pippe mentali. Ancora un po’ e incontravo il capitano Nemo sotto i mari.

E si, ho avuto ripensamenti. Sull’università. Sulla scelta di tentare la fortuna qui. Sulle mie capacità. Linguistiche e personali. Che in fondo aver studiato Lingue è stata solo una colossale scorciatoia. Ho una laurea, ma vale meno della pergamena su cui è stampata. Che l’inutilità del mio titolo si riflette anche su di me: chi sarebbe mai pronto a investire su qualcuno con un titolo cosi ridicolo?! Che gira e rigira non sono adatto a fare niente. Sarei negato persino come cameriere al McDonald’s. Un quadro desolante. Autostima a zero. Speranze nulle. Fiducia nel futuro minimi storici rilevati.

Poi ho cominciato a realizzare. A realizzare che nessuno trova lavoro in 2 settimane, neanche qui nella quasi terra della cuccagna. A realizzare che se non dovessi trovare niente almeno io c’ho provato. A realizzare che nella peggiore delle ipotesi posso far fagotto e tornarmene a casa. Mi sono ricordato che ho scelto Monaco per amore e non per necessità. Che sono venuto qui perché ero ispirato e perché lo volevo con tutto me stesso. Ergo, non posso fare un lavoro che non mi ispiri, che non mi gratifichi, per quanto mi permetta di pagare l’affitto. Che la disoccupazione è brutta perché ci hanno insegnato che lo è. Perché il lavoro nobilita, la disoccupazione abbruttisce. E chi l’ha deciso poi???

Ho realizzato che il primo che deve investire su di me sono io. Che se voglio trovare un bel lavoro ci devo credere. Che a finire a pulire i piatti si fa sempre ora (per quanto anche questo sia un lavoro pari agli altri). Ho realizzato che anche la disoccupazione può essere un’opportunità. Ora alla mattina faccio lunghe passeggiate. Scopro nuovi angoli della città. Leggo sulle panchine di parchi finora sconosciuti. Mi affido semplicemente a ciò che sarà. Con questo non voglio dire che aspetto che vengano a bussarmi alla porta di casa per offrirmi un lavoro. Dico solo che leggo gli annunci e se uno mi colpisce spedisco la Bewerbung, altrimenti il domani porterà nuove opportunità da valutare. Mi sono ricordato che bisogna dare tempo al tempo. Che neanche Roma è stata costruita in un giorno. E che anche approfondire il tedesco è un’occupazione. Come lo è prendersi cura di sé e della casa. L’altro ieri mi sono improvvisato pure pasticcere. E anche se l’aspetto non era dei migliori, il gusto c’era.

Che insomma, cercare lavoro ok, farsi venire la depressione no!

PS: il 16 giugno la città ha compiuto 854 anni (la piccolina è nata infatti il 16 giugno 1158)! Augurissimi München. Ti vogliamo bene!

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