La mia Vermieterin è un po’ invadente. Un po’ tanto. All’inizio pensavo fosse una sorta di comitato ufficioso di benvenuto. Ora penso che sia invadenza pura e semplice, violazione gratuita del mio spazio vitale. Credevo che dopo la naturale curiosità iniziale mi avrebbero lasciato in pace. Soddisfatto il bisogno di incontrare l’italiano, questo esotico straniero, si sarebbe ritirata nella sua tana lasciando a me la mia. Così non è stato. Così non è. La C-Mutter ogni tanto mi capita in casa agli orari più disparati, armata di chiavi e incurante del grazioso pulsante a lato della porta chiamato campanello. Capita a volte, nelle giornate buone, che si ricordi di usarlo. Unicamente come pro forma. Non ho nemmeno realizzato che mi hanno suonato che lei infila la chiave nella toppa, chiama a gran voce e mi annoia per svariati minuti con stralci di cronache familiari. Episodi di cui a me non frega una mazza. Ma sorrido per non farle trovare la porta a pedate.
Peggio della C-Mutter c’è solo la C-Sorella. Zitella, sgraziata e lunatica, questo ennesimo membro della C-Familie abita in un monolocale del Rückgebäude, il palazzo oltre il cortile interno. Lei non mi piomba in casa perché vuole rendermi partecipe della sua vita. No no macchè, ci mancherebbe (e grazie all’Altissimo è così). Lo fa per ragioni meramente pratiche. Usa la lavatrice. E il mio ammorbidente. Oh e anche lo stendirobe. Stendirobe che mi resta occupato per giorni interi finché la ragazza stagionata non si riporta i panni ancora umidi oltre il cortile. Questa qui disconosce totalmente l’uso del campanello. Raramente saluta. Solo quando è di buzzo buono, altrimenti grugnisce e sbuffa. Da inquilino mi sono trasformato nel guardiano dell’appartamento. Sono la donna delle pulizie che paga per avere il privilegio di usufruire di un letto e tenere la casa pulita. Era la risposta a tutte le mie preghiere. Son qui che cerco un lavoro e non mi ero reso conto di averne già uno.
Tra le mie mansioni rientra anche quello di tenere l’appartamento areato e il bagno in ordine per quando arrivano ospiti. Oltre alla francese puzzolente mi sono sciroppato una vecchia conoscente della Vermieterin venuta a Monaco in visita, i figli di non so chi e un terzo individuo che per fortuna è rimasto qui solo una notte. Ospiti che puntualmente mi lasciano il bagno in uno stato pietoso, letti da rifare e pavimenti da strofinare. Il bello è che sono sempre io l’ultimo a sapere di queste visite: ne vengo informato al massimo un paio di giorni prima, giusto perché lo sappia. Ringrazio almeno che non me li ritrovo sulla soglia da un momento all’altro. Sarebbe più imbarazzante. Non ricevo preavvisi però per le visite improvvise della Vermieterin. Quelle bisogna prenderle come la pioggia: quando arriva arriva. E arrivano anche in momenti indesiderati. Si perché è già capitato che io fossi in bagno per rispondere al richiamo della Natura e loro siano entrati bellamente in casa cercando un dialogo. Ora, io cerco di essere elastico e comprensivo. Se qui in Germania non esiste il bidet, significa che certe regole del bon ton da bagno sono sconosciute, ma una persona avrà il sacrosanto diritto di essere lasciato in pace nel bel mezzo di un’espulsione di missili balistici. O no?!
Avrà il diritto di strofinarsi calli e geloni senza doversi sforzare anche li di parlare tedesco da una porta all’altra. Avrà il diritto di restare in pigiama, frusto e con i capelli a nido d’ape tutta la santa mattina senza essere molestato da una vecchia impicciona. Avrà il diritto di gestire la sua privacy come cacchio gli pare e piace. O no?! L’ospitalità e la gentilezza a volte possono risultare tremendamente pesanti.
Altre volte invece mi sono stati tesi autentici agguati. Una domenica mattina mi hanno suonato (quindi buttato giù dal letto) per chiedermi se mi andava di andare con loro a messa. Ma vi pare il caso di svegliarmi per ste scempiaggini?!! Da quella mattina ogni sera tiro il chiavistello. Che se almeno tentano di entrare trovano la porta sprangata. E che diamine. Poi c’è stata quell’emergenza in cui il C-Vater ha fatto praticamente irruzione in casa per poi fiondarsi in bagno per evitare di farsela addosso. Il peggio è stato che accompagnava la deposizione delle uova marce con sospiri berciati tipo “cosi…cosi…oh bene…ahhhh”. A me è venuto il ragionevole dubbio che si stesse lucidando il pomello, ma certe cose è meglio non saperle. Per sorvolare di quando mi lasciano qualche articolo di giornale direttamente in cucina perchè parla di italiani. D’accordo l’accoglienza e tante belle storie, ma qui stiamo passando il limite. Per carità, capisco che lo facciano per “mettermi a mio agio”, farmi sentire integrato, ma accidentaccio usate quelle stramaledette chiavi con moderazione!!
Consiglio spassionato: la prossima volta che cambiate casa assicuratevi che il vostro padrone di casa abiti dall’altra parte della città, che sia muto e possibilmente in giro per il globo 360 giorni all’anno. Ne avrete tutto da guadagnarci. E mi raccomando assicuratevi che nel contratto non ci siano codicilli minuscoli che prevedano intrusioni legalizzate dei familiari. A quel punto abbandonare la nave!
NB: per coloro che si ponessero in ascolto solo adesso, potete trovare le puntate precedenti Qui, Quo, Qua e di nuovo qui.
lunedì 25 giugno 2012
martedì 19 giugno 2012
Voglio una vita...disoccupata..!
Quello che state per leggere è un post lagnoso. Se decidete di leggerlo lo fate a vostro rischio e pericolo. Se ne sconsiglia la lettura a chi ha avuto una bella giornata. Se ne consiglia invece la lettura a chi ha avuto una pessima giornata. Può darsi che la sfiga altrui riesca a farvi sentire meglio.
Non meniam il can per l’aia: essere disoccupati è per l’homo occidentalis la tragedia personale seconda solo alla morte. Perché in sé la disoccupazione è la morte sociale, l’esclusione dal mondo del lavoro. Perché si vive per il lavoro. Si sposa il lavoro. Sul posto di lavoro circolano gossip, si fanno gossip, si raccoglie materiale per lo spettegolesso serale. No lavoro no vita. Lavoro uguale significato e significante delle nostre esistenze. Se non hai un lavoro o ti commiserano o ti evitano. In ogni caso niente di positivo. Se hai un lavoro sicuro, ben pagato e prestigioso, diventi un figo anche se hai lo spessore morale di una lente a contatto. Se invece hai un lavoro “normale”, busta paga da mendicante, ma una sana integrità sei, senza rimedio e per direttissima, uno sfigato. Il lavoro è il metro con cui valutiamo ogni cosa e/o persona. Oltre ai vestiti che si indossano o la macchina che si guida, ovviamente. I colleghi sono i tuoi migliori amici con cui prendere un aperitivo alle 11 della mattina oppure i servitori del Demonio in borghese da esorcizzare a suon di sgarbi e frecciatine. Se il colloquio va bene ci sentiamo belli, spiritosi e capaci. Se il colloquio va male siamo pronti a indossare il cilicio per espiare la colpa di essere quello che siamo. Distillato d’avvilimento purissimo da buttar giù tutto d’un fiato. Insomma se non troviamo lavoro la colpa sarà pur nostra, no?! Ed ecco che la danza macabra inizia: siamo noi ad adattarci al posto di lavoro e non il contrario. Tutto pur di aver l’altissimo onore di essere il galoppino dell’Ing. Cavazzi.
Cercare lavoro è un’arte, da sempre. Ormai è cosa nota e risaputa. E quando non lo si trova, iniziano le paturnie. Il cosiddetto calo fisiologico. Io ce l’ho avuto lunedì. Di già??? Di già si! Un buco nero di tristezze in cui sono affondato fino all’ultimo capello. E bhe ho pensato le solite cose: che ho fatto le capriole per tre anni da un esame all’altro per un’emerita cippa, non essendo diventato né un ingegnere, né un commercialista, né un avvocato, né un architetto. Che ho scelto il paese sbagliato in cui trasferirmi: qui si cercano “tecnici”, non umanisti. Che non pesa tanto la lontananza da casa, quanto la mancanza di riscontro diretto con la TorquiMamma e la Super Genia. Che per la mia cronica mancanza di esperienza tutto è troppo grande. Se poi combino casini chi li mette a posto?! Seduto come una statua di sale di fronte all’Hubertusbrunnen ho percorso 10.000 miglia di pippe mentali. Ancora un po’ e incontravo il capitano Nemo sotto i mari.
E si, ho avuto ripensamenti. Sull’università. Sulla scelta di tentare la fortuna qui. Sulle mie capacità. Linguistiche e personali. Che in fondo aver studiato Lingue è stata solo una colossale scorciatoia. Ho una laurea, ma vale meno della pergamena su cui è stampata. Che l’inutilità del mio titolo si riflette anche su di me: chi sarebbe mai pronto a investire su qualcuno con un titolo cosi ridicolo?! Che gira e rigira non sono adatto a fare niente. Sarei negato persino come cameriere al McDonald’s. Un quadro desolante. Autostima a zero. Speranze nulle. Fiducia nel futuro minimi storici rilevati.
Poi ho cominciato a realizzare. A realizzare che nessuno trova lavoro in 2 settimane, neanche qui nella quasi terra della cuccagna. A realizzare che se non dovessi trovare niente almeno io c’ho provato. A realizzare che nella peggiore delle ipotesi posso far fagotto e tornarmene a casa. Mi sono ricordato che ho scelto Monaco per amore e non per necessità. Che sono venuto qui perché ero ispirato e perché lo volevo con tutto me stesso. Ergo, non posso fare un lavoro che non mi ispiri, che non mi gratifichi, per quanto mi permetta di pagare l’affitto. Che la disoccupazione è brutta perché ci hanno insegnato che lo è. Perché il lavoro nobilita, la disoccupazione abbruttisce. E chi l’ha deciso poi???
Ho realizzato che il primo che deve investire su di me sono io. Che se voglio trovare un bel lavoro ci devo credere. Che a finire a pulire i piatti si fa sempre ora (per quanto anche questo sia un lavoro pari agli altri). Ho realizzato che anche la disoccupazione può essere un’opportunità. Ora alla mattina faccio lunghe passeggiate. Scopro nuovi angoli della città. Leggo sulle panchine di parchi finora sconosciuti. Mi affido semplicemente a ciò che sarà. Con questo non voglio dire che aspetto che vengano a bussarmi alla porta di casa per offrirmi un lavoro. Dico solo che leggo gli annunci e se uno mi colpisce spedisco la Bewerbung, altrimenti il domani porterà nuove opportunità da valutare. Mi sono ricordato che bisogna dare tempo al tempo. Che neanche Roma è stata costruita in un giorno. E che anche approfondire il tedesco è un’occupazione. Come lo è prendersi cura di sé e della casa. L’altro ieri mi sono improvvisato pure pasticcere. E anche se l’aspetto non era dei migliori, il gusto c’era.
Che insomma, cercare lavoro ok, farsi venire la depressione no!
PS: il 16 giugno la città ha compiuto 854 anni (la piccolina è nata infatti il 16 giugno 1158)! Augurissimi München. Ti vogliamo bene!
Non meniam il can per l’aia: essere disoccupati è per l’homo occidentalis la tragedia personale seconda solo alla morte. Perché in sé la disoccupazione è la morte sociale, l’esclusione dal mondo del lavoro. Perché si vive per il lavoro. Si sposa il lavoro. Sul posto di lavoro circolano gossip, si fanno gossip, si raccoglie materiale per lo spettegolesso serale. No lavoro no vita. Lavoro uguale significato e significante delle nostre esistenze. Se non hai un lavoro o ti commiserano o ti evitano. In ogni caso niente di positivo. Se hai un lavoro sicuro, ben pagato e prestigioso, diventi un figo anche se hai lo spessore morale di una lente a contatto. Se invece hai un lavoro “normale”, busta paga da mendicante, ma una sana integrità sei, senza rimedio e per direttissima, uno sfigato. Il lavoro è il metro con cui valutiamo ogni cosa e/o persona. Oltre ai vestiti che si indossano o la macchina che si guida, ovviamente. I colleghi sono i tuoi migliori amici con cui prendere un aperitivo alle 11 della mattina oppure i servitori del Demonio in borghese da esorcizzare a suon di sgarbi e frecciatine. Se il colloquio va bene ci sentiamo belli, spiritosi e capaci. Se il colloquio va male siamo pronti a indossare il cilicio per espiare la colpa di essere quello che siamo. Distillato d’avvilimento purissimo da buttar giù tutto d’un fiato. Insomma se non troviamo lavoro la colpa sarà pur nostra, no?! Ed ecco che la danza macabra inizia: siamo noi ad adattarci al posto di lavoro e non il contrario. Tutto pur di aver l’altissimo onore di essere il galoppino dell’Ing. Cavazzi.
Cercare lavoro è un’arte, da sempre. Ormai è cosa nota e risaputa. E quando non lo si trova, iniziano le paturnie. Il cosiddetto calo fisiologico. Io ce l’ho avuto lunedì. Di già??? Di già si! Un buco nero di tristezze in cui sono affondato fino all’ultimo capello. E bhe ho pensato le solite cose: che ho fatto le capriole per tre anni da un esame all’altro per un’emerita cippa, non essendo diventato né un ingegnere, né un commercialista, né un avvocato, né un architetto. Che ho scelto il paese sbagliato in cui trasferirmi: qui si cercano “tecnici”, non umanisti. Che non pesa tanto la lontananza da casa, quanto la mancanza di riscontro diretto con la TorquiMamma e la Super Genia. Che per la mia cronica mancanza di esperienza tutto è troppo grande. Se poi combino casini chi li mette a posto?! Seduto come una statua di sale di fronte all’Hubertusbrunnen ho percorso 10.000 miglia di pippe mentali. Ancora un po’ e incontravo il capitano Nemo sotto i mari.
E si, ho avuto ripensamenti. Sull’università. Sulla scelta di tentare la fortuna qui. Sulle mie capacità. Linguistiche e personali. Che in fondo aver studiato Lingue è stata solo una colossale scorciatoia. Ho una laurea, ma vale meno della pergamena su cui è stampata. Che l’inutilità del mio titolo si riflette anche su di me: chi sarebbe mai pronto a investire su qualcuno con un titolo cosi ridicolo?! Che gira e rigira non sono adatto a fare niente. Sarei negato persino come cameriere al McDonald’s. Un quadro desolante. Autostima a zero. Speranze nulle. Fiducia nel futuro minimi storici rilevati.
Poi ho cominciato a realizzare. A realizzare che nessuno trova lavoro in 2 settimane, neanche qui nella quasi terra della cuccagna. A realizzare che se non dovessi trovare niente almeno io c’ho provato. A realizzare che nella peggiore delle ipotesi posso far fagotto e tornarmene a casa. Mi sono ricordato che ho scelto Monaco per amore e non per necessità. Che sono venuto qui perché ero ispirato e perché lo volevo con tutto me stesso. Ergo, non posso fare un lavoro che non mi ispiri, che non mi gratifichi, per quanto mi permetta di pagare l’affitto. Che la disoccupazione è brutta perché ci hanno insegnato che lo è. Perché il lavoro nobilita, la disoccupazione abbruttisce. E chi l’ha deciso poi???
Ho realizzato che il primo che deve investire su di me sono io. Che se voglio trovare un bel lavoro ci devo credere. Che a finire a pulire i piatti si fa sempre ora (per quanto anche questo sia un lavoro pari agli altri). Ho realizzato che anche la disoccupazione può essere un’opportunità. Ora alla mattina faccio lunghe passeggiate. Scopro nuovi angoli della città. Leggo sulle panchine di parchi finora sconosciuti. Mi affido semplicemente a ciò che sarà. Con questo non voglio dire che aspetto che vengano a bussarmi alla porta di casa per offrirmi un lavoro. Dico solo che leggo gli annunci e se uno mi colpisce spedisco la Bewerbung, altrimenti il domani porterà nuove opportunità da valutare. Mi sono ricordato che bisogna dare tempo al tempo. Che neanche Roma è stata costruita in un giorno. E che anche approfondire il tedesco è un’occupazione. Come lo è prendersi cura di sé e della casa. L’altro ieri mi sono improvvisato pure pasticcere. E anche se l’aspetto non era dei migliori, il gusto c’era.
Che insomma, cercare lavoro ok, farsi venire la depressione no!
PS: il 16 giugno la città ha compiuto 854 anni (la piccolina è nata infatti il 16 giugno 1158)! Augurissimi München. Ti vogliamo bene!
giovedì 14 giugno 2012
Imparare tedesco è...
…è leggere un annuncio di lavoro riuscendo a capire cosa c’è scritto senza farsi venire il mal di testa.
…è riuscire a scrivere una Bewerbung decente con la percentuale minima di errori (il massimo sarebbe non farne, ma se l’impossibile mi riesce a tempo di record, per i miracoli necessito di tempo), tenendo ben presente che una Signora Bewerbung è composta da: lettera di presentazione, bella foto a 42 carati, curriculum e, nel mio caso, anche dalla traduzione dei diplomi. Sto già male…
…è comprendere che anche se hanno in comune il segmento buch, libro, tra buchhaltung, contabilità, e buchhandlung, vendita di libri all’ingrosso, ci scorre in mezzo il Danubio!
…è anche mettersi l’anima in pace che trovare una giusta casistica lavorativa e chiamarla con come e cognome è un casino. Non si capisce mai dove cominci il ruolo del Lektor e quello del Geschäftsführer…
…è riuscire a capire il tedesco burocratico in cui le mail di ringraziamento vengono scritte. Perché qui si scomodano anche a scriverti “si, abbiamo ricevuto il tuo fascio di carte, grazie per avercele mandate, dacci il tempo di valutarle e poi ci risentiamo”.
…è arrivare alla tragica conclusione che il tuo titolo di studio in Tedescolandia vale quanto una scuola serale. E ti viene da pensare che forse andare a fare Informatica o Architettura non era proprio un’idea cosi peregrina.
…è prendere coscienza che in questa landa bavara economia, ingegneria, giurisprudenza e marketing sono ultra quotati. Tanto che corri il rischio di essere sequestrato per strada. I lavori “di letteratura” invece a quanto pare non se li fila nessuno. Difatti i negozi alla Hugendubel sono gestiti dagli elfi.
…è riuscire a stare al passo con l’impiegato-mitraglia-informazioni dell’Arbeitsamt (ufficio di collocamento) che spiega, in quest’ordine, cosa siano la Krankenkasse (assicurazione sanitaria), la Sozialversicherung (l’equivalente tedesco dell’Inps), l’assegno der Arbeitlosigkeit (l’assegno di disoccupazione) e mille mille altri cavilli burocratici che mi sono perso per strada.
…è realizzare che se mai riuscirai ad avere gli Swarovsky là in basso per sostenere un colloquio in questa lingua impossibile e contorta, allora puoi tutto. E ti puoi rilassare. Se ti assumono hai già fatto metà del lavoro!
…è riuscire a scrivere una Bewerbung decente con la percentuale minima di errori (il massimo sarebbe non farne, ma se l’impossibile mi riesce a tempo di record, per i miracoli necessito di tempo), tenendo ben presente che una Signora Bewerbung è composta da: lettera di presentazione, bella foto a 42 carati, curriculum e, nel mio caso, anche dalla traduzione dei diplomi. Sto già male…
…è comprendere che anche se hanno in comune il segmento buch, libro, tra buchhaltung, contabilità, e buchhandlung, vendita di libri all’ingrosso, ci scorre in mezzo il Danubio!
…è anche mettersi l’anima in pace che trovare una giusta casistica lavorativa e chiamarla con come e cognome è un casino. Non si capisce mai dove cominci il ruolo del Lektor e quello del Geschäftsführer…
…è riuscire a capire il tedesco burocratico in cui le mail di ringraziamento vengono scritte. Perché qui si scomodano anche a scriverti “si, abbiamo ricevuto il tuo fascio di carte, grazie per avercele mandate, dacci il tempo di valutarle e poi ci risentiamo”.
…è arrivare alla tragica conclusione che il tuo titolo di studio in Tedescolandia vale quanto una scuola serale. E ti viene da pensare che forse andare a fare Informatica o Architettura non era proprio un’idea cosi peregrina.
…è prendere coscienza che in questa landa bavara economia, ingegneria, giurisprudenza e marketing sono ultra quotati. Tanto che corri il rischio di essere sequestrato per strada. I lavori “di letteratura” invece a quanto pare non se li fila nessuno. Difatti i negozi alla Hugendubel sono gestiti dagli elfi.
…è riuscire a stare al passo con l’impiegato-mitraglia-informazioni dell’Arbeitsamt (ufficio di collocamento) che spiega, in quest’ordine, cosa siano la Krankenkasse (assicurazione sanitaria), la Sozialversicherung (l’equivalente tedesco dell’Inps), l’assegno der Arbeitlosigkeit (l’assegno di disoccupazione) e mille mille altri cavilli burocratici che mi sono perso per strada.
…è realizzare che se mai riuscirai ad avere gli Swarovsky là in basso per sostenere un colloquio in questa lingua impossibile e contorta, allora puoi tutto. E ti puoi rilassare. Se ti assumono hai già fatto metà del lavoro!
domenica 10 giugno 2012
Non ho l'etàààààà!
Ci sono volte in cui vivere all’estero ti fa venire i capelli bianchi, occasioni in cui ti si brizzolano persino i peli del naso e ti ritrovi tutto d’un colpo con dieci anni di meno e l’artrite al malleolo. Momenti in cui infileresti le dita nella presa della corrente o snifferesti uranio impoverito pur di porre fine alle tue sofferenze.
Io non vivo a Monaco da tanto. Solo da 6 mesi e 4 settimane. Un tempo miserino. Giusto il tempo di capire come funziano le cose qua, come mettere in riga una frase decente in tedesco e via. Non cosi misero però per non aver avuto la mia bella sequela di sfighe. Come quella volta del problema con la P maiuscola: la casa. O quella volta in cui mi si è impallato il cellulare dal freddo e mia sorella ha dovuto litigare con il tipo del 190 per farsi dare il codice PUK. O quell’altra in cui, causa canale linguistico intasato, la Vermieterin non era in casa e io sono rimasto chiuso fuori dal palazzo fino alle 3 di pomeriggio con la valigia sul pianerottolo. O l’altra ancora in cui sono dovuto tornare a Verona in tutta fretta per mettere una pezza ai casini combinati da Trento. Uno spasso a getto continuo. L’ultima è fresca di week-end. Ovvero il momento peggiore in cui ti possono capitare sfighe in terra di Crucchia dato che qua il fine settimana è tutto chiuso.
Venerdi mattina. Ancora preda dei fumi del sonno accendo il computer per caricare una puntata di una delle mie serie preferite. Giusto per allietare ulteriormente il rito della colazione. Scorro la lista, scelgo una serie e metto la puntata in carica. La pagina internet si contorce, mi fa un gestaccio virtuale e si tinge interamente di bianco. Ho appena il tempo di sacramentare che compaiono queste parole (chiaramente in lingua teotisca): il tuo computer è stato bloccato! Hai scaricato musica illegale da internet. Inserisci qui il numero di serie della tua carta di credito per pagare subito la multa di 50 euro. Ok. Subito ho pensato a una finestra scherzosa, di quelle che compaiono ogni tanto cliccando di qua e di la. Solo che non si chiudeva. Non c’era la cavolo di X magica per farla sparire. Cercando di mantenere la pressione nella norma cerco di aprire il gestione risorse. La finestrina appare e scompare subito. Altro gestaccio multimediale. Tiro un lungo, lunghissimo respiro e riavvio. La dannata finestra bianca è ancora li. È ufficiale: c’è qualcosa che non va. O c’è un cazzutissimo virus o, peggio dei peggi, il sistema ha deciso di andare in vacanza.
Ed è stato subito panico. Dove vado a cercarlo ora un tecnico, un negozio, un nerd da scantinato che mi rimetta in sesto il computer?! Crisi nera, nerissima. Decido di chiedere info alla Vermieterin. Che ovviamente quando serve non c’è. Sehr gut. Mi sono catapultato fuori di casa alla ricerca del negozio per tutte le soluzioni, del magico bazaar in cui si riportano in vita i pc. Per un’ora ho vagato per le vie del quartiere occhieggiando tutte le vetrine, leggendo tutte le insegne, alla disperata ricerca della salvezza tecnologica (i passanti temo mi abbiano scambiato per un maniaco visto che mi scansavano tutti). Niente. E adesso?
Poi l’illuminazione. Nei grandi negozi di elettronica, ci sarà un’area assistenza, no? Ci sarà un bancone dove il tecnico di turno fa di nuovo cantare i computer con l’imposizione delle mani e ausculta i processori con l’apposito stetoscopio. Mi sono precipitato al primo che mi è venuto in mente: il Conrad Electronics. Stringendo al petto la borsa con dentro il piccolino malato bracco la squinzia al banco informazioni e sbrodolo il problema. Ruminando una Big Babol la gigia chiama il tecnico e torna a limarsi le unghie da geisha. Narro di nuovo la storia dalla A alla Z, dall’Alfa all’Omega e ritorno, con voce strozzata, pronto a una crisi isterica. Lui impassibile mi chiede di fargli vedere la schermata bianca. Ed è subito telepatia. Ah si – esclama competente – è il virus Xysel! Te lo risolvo subito. Due veloci palpate alla tastiera, un giro di twist al touch pad e voilà come nuovo. A me è quasi venuta un escherichia colis di livello 8 e lui con tre rapidi gesti l’ha guarito. Lunga vita al Tecnico Taumaturgo. Mentre cercavo la mandibola sotto il bancone ho chiesto se dovevo pagare qualcosa per il disturbo. Lui si fa una grassa risata e mi dice che no, non gli devo niente. Per una scemenza del genere sarebbe imbarazzante chiedere un compenso. Ed io che ero già pronto a offrirgli una cena da sette portate nel miglior ristorante della città…
Insomma tutto è bene quel che finisce bene. Per certe paure però non ho più l’età… Sarà per quello che stamattina nel pettine ho trovato un paio di capelli bianchi?!
Io non vivo a Monaco da tanto. Solo da 6 mesi e 4 settimane. Un tempo miserino. Giusto il tempo di capire come funziano le cose qua, come mettere in riga una frase decente in tedesco e via. Non cosi misero però per non aver avuto la mia bella sequela di sfighe. Come quella volta del problema con la P maiuscola: la casa. O quella volta in cui mi si è impallato il cellulare dal freddo e mia sorella ha dovuto litigare con il tipo del 190 per farsi dare il codice PUK. O quell’altra in cui, causa canale linguistico intasato, la Vermieterin non era in casa e io sono rimasto chiuso fuori dal palazzo fino alle 3 di pomeriggio con la valigia sul pianerottolo. O l’altra ancora in cui sono dovuto tornare a Verona in tutta fretta per mettere una pezza ai casini combinati da Trento. Uno spasso a getto continuo. L’ultima è fresca di week-end. Ovvero il momento peggiore in cui ti possono capitare sfighe in terra di Crucchia dato che qua il fine settimana è tutto chiuso.
Venerdi mattina. Ancora preda dei fumi del sonno accendo il computer per caricare una puntata di una delle mie serie preferite. Giusto per allietare ulteriormente il rito della colazione. Scorro la lista, scelgo una serie e metto la puntata in carica. La pagina internet si contorce, mi fa un gestaccio virtuale e si tinge interamente di bianco. Ho appena il tempo di sacramentare che compaiono queste parole (chiaramente in lingua teotisca): il tuo computer è stato bloccato! Hai scaricato musica illegale da internet. Inserisci qui il numero di serie della tua carta di credito per pagare subito la multa di 50 euro. Ok. Subito ho pensato a una finestra scherzosa, di quelle che compaiono ogni tanto cliccando di qua e di la. Solo che non si chiudeva. Non c’era la cavolo di X magica per farla sparire. Cercando di mantenere la pressione nella norma cerco di aprire il gestione risorse. La finestrina appare e scompare subito. Altro gestaccio multimediale. Tiro un lungo, lunghissimo respiro e riavvio. La dannata finestra bianca è ancora li. È ufficiale: c’è qualcosa che non va. O c’è un cazzutissimo virus o, peggio dei peggi, il sistema ha deciso di andare in vacanza.
Ed è stato subito panico. Dove vado a cercarlo ora un tecnico, un negozio, un nerd da scantinato che mi rimetta in sesto il computer?! Crisi nera, nerissima. Decido di chiedere info alla Vermieterin. Che ovviamente quando serve non c’è. Sehr gut. Mi sono catapultato fuori di casa alla ricerca del negozio per tutte le soluzioni, del magico bazaar in cui si riportano in vita i pc. Per un’ora ho vagato per le vie del quartiere occhieggiando tutte le vetrine, leggendo tutte le insegne, alla disperata ricerca della salvezza tecnologica (i passanti temo mi abbiano scambiato per un maniaco visto che mi scansavano tutti). Niente. E adesso?
Poi l’illuminazione. Nei grandi negozi di elettronica, ci sarà un’area assistenza, no? Ci sarà un bancone dove il tecnico di turno fa di nuovo cantare i computer con l’imposizione delle mani e ausculta i processori con l’apposito stetoscopio. Mi sono precipitato al primo che mi è venuto in mente: il Conrad Electronics. Stringendo al petto la borsa con dentro il piccolino malato bracco la squinzia al banco informazioni e sbrodolo il problema. Ruminando una Big Babol la gigia chiama il tecnico e torna a limarsi le unghie da geisha. Narro di nuovo la storia dalla A alla Z, dall’Alfa all’Omega e ritorno, con voce strozzata, pronto a una crisi isterica. Lui impassibile mi chiede di fargli vedere la schermata bianca. Ed è subito telepatia. Ah si – esclama competente – è il virus Xysel! Te lo risolvo subito. Due veloci palpate alla tastiera, un giro di twist al touch pad e voilà come nuovo. A me è quasi venuta un escherichia colis di livello 8 e lui con tre rapidi gesti l’ha guarito. Lunga vita al Tecnico Taumaturgo. Mentre cercavo la mandibola sotto il bancone ho chiesto se dovevo pagare qualcosa per il disturbo. Lui si fa una grassa risata e mi dice che no, non gli devo niente. Per una scemenza del genere sarebbe imbarazzante chiedere un compenso. Ed io che ero già pronto a offrirgli una cena da sette portate nel miglior ristorante della città…
Insomma tutto è bene quel che finisce bene. Per certe paure però non ho più l’età… Sarà per quello che stamattina nel pettine ho trovato un paio di capelli bianchi?!
domenica 3 giugno 2012
Annunciazione, annunciazione!
Alla cortese attenzione degli affezionati Lettori: questa è una lettera aperta scritta in burocratichese, si consiglia quindi di leggere a velocità moderata, il tono pedante potrebbe causare mal di testa, nausea, dispnea, diarrea e forti dolori anginoidi. L’intento è puramente ironico, si declina pertanto ogni responsabilità nell’insorgere di complicazioni. In caso di effetti collaterali consultare il medico.
Egregi Signori Lettori,
scrivo la qui presente per chiedere la vostra opinione in merito a una faccenduola personale. A seguito dei sei mesi di tirocinio spesi nell’UT, mi trovo ora nell’imbarazzante situazione di non sapere esattamente per quali tipi di lavoro candidarmi in terra di Germania, ehm volevo dire Baviera. Il sottoscritto, si proprio io, Doktor Torquitax si pregia di aver conseguito la Laurea in Lingue e Culture per l’Editoria presso il prestigioso Ateneo dell’Università degli Studi di Verona. Mi rivolgo specialmente a quegli eminenti Lettori che da parecchi anni risiedono in territorio tedesco (e che quindi nel tempo hanno acquisito un’enorme esperienza in questo mercato del lavoro) per esaustive delucidazioni su quelli che potrebbero essere gli ambiti lavorativi per cui avrei le migliori credenziali. Ciò non esclude che anche gli altri illustrissimi Lettori non possano lasciare la propria opinione o dire il loro parere a riguardo. Tutti i consigli sono bene accetti. Soprattutto quello che vorrei porre alla Vostra attenzione è il seguente quesito: quali sono i termini più idonei di cui avvalermi per individuare nei motori di ricerca l’ambito lavorativo per cui potrei essere più adatto? Aiutate un povero sognatore indigente a farsi strada nel mondo dei Grandi. La vostra gentilezza e disponibilità non saranno mal riposte.
Colgo l’occasione per ringraziarVi in anticipo dei consigli e/o dritte di cui vorrete farmi dono.
In attesa di gentile riscontro porgo distinti saluti.
Cordialmente vostro,
Dr. Torquitax
Egregi Signori Lettori,
scrivo la qui presente per chiedere la vostra opinione in merito a una faccenduola personale. A seguito dei sei mesi di tirocinio spesi nell’UT, mi trovo ora nell’imbarazzante situazione di non sapere esattamente per quali tipi di lavoro candidarmi in terra di Germania, ehm volevo dire Baviera. Il sottoscritto, si proprio io, Doktor Torquitax si pregia di aver conseguito la Laurea in Lingue e Culture per l’Editoria presso il prestigioso Ateneo dell’Università degli Studi di Verona. Mi rivolgo specialmente a quegli eminenti Lettori che da parecchi anni risiedono in territorio tedesco (e che quindi nel tempo hanno acquisito un’enorme esperienza in questo mercato del lavoro) per esaustive delucidazioni su quelli che potrebbero essere gli ambiti lavorativi per cui avrei le migliori credenziali. Ciò non esclude che anche gli altri illustrissimi Lettori non possano lasciare la propria opinione o dire il loro parere a riguardo. Tutti i consigli sono bene accetti. Soprattutto quello che vorrei porre alla Vostra attenzione è il seguente quesito: quali sono i termini più idonei di cui avvalermi per individuare nei motori di ricerca l’ambito lavorativo per cui potrei essere più adatto? Aiutate un povero sognatore indigente a farsi strada nel mondo dei Grandi. La vostra gentilezza e disponibilità non saranno mal riposte.
Colgo l’occasione per ringraziarVi in anticipo dei consigli e/o dritte di cui vorrete farmi dono.
In attesa di gentile riscontro porgo distinti saluti.
Cordialmente vostro,
Dr. Torquitax
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